Obesità e Coronavirus

Sin dall’inizio della pandemia da Covid-19 è stato evidente che i pazienti affetti da obesità fossero maggiormente esposti a forme di malattia più gravi, che hanno portato in non pochi casi anche alla morte. Successivamente, numerosi studi scientifici hanno confermato non solo l’obesità come un fattore di rischio, ma anche come l’essere semplicemente in sovrappeso porti a una vulnerabilità da non sottovalutare.

Meredith Wadman, sulla rivista scientifica Science, ha affrontato l’argomento illustrando quali sono i fattori connessi all’obesità che vanno ad aumentare i rischi connessi all’attacco del virus SARS-CoV-2  

Un gruppo di ricercatori internazionale ha curato una studio su 400 mila pazienti, pubblicato poi sulla rivista Obesity Reviews, secondo il quale le persone con obesità positive al Covid hanno il 113% di probabilità in più di necessitare di cure ospedaliere, il 74% in più di essere ricoverate in terapia intensiva e il 48% in più di morire.

Un preprint focalizzato su 17 mila pazienti americani ricoverati in seguito all’infezione da Covid-19, ha mostrato che oltre il 70% di essi fosse obeso, mentre in Inghilterra uno studio dell’esperto Mark Hamer dell’University College di Londra, ha evidenziato come il tasso di ricoveri abbia avuto un picco in presenza di grave obesità con indice di massa corporea superiore a 35, ma anche un non trascurabile aumento in presenza di semplice sovrappeso.

Uno studio su 500 pazienti ricoverati al policlinico Sant’Orsola in seguito alla contrazione del Virus Covid-19, condotto da ricercatori italiani dell’Università di Bologna e successivamente pubblicato sull’European Journal of Endocrinology, conferma come uno stato di obesità sia strettamente connesso ad un maggiore rischio di sviluppare una forma più acuta della malattia, e suggerisce di includere tutte le persone affette da obesità, e non solo quelle con un indice di massa corporea superiore a 40, tra le categorie maggiormente a rischio di sviluppare una forma più grave della malattia.

L’articolo pubblicato da Meredith Wadman esamina le condizioni associate all’obesità che condizionano il modo in cui il nostro organismo si difende dall’attacco del virus. Uno dei maggiori rischi è dato dalla tendenza a una maggiore coagulazione del sangue nei pazienti in sovrappeso, e più in generale una minore capacità dell’organismo di sviluppare una risposta immunitaria soddisfacente. Inoltre, i pazienti in questione soffrono anche di infiammazioni croniche determinate dalla maggiore produzione di citochine da parte dei tessuti adiposi. Di fronte a questo Virus, si tratta di un processo molto pericoloso in quanto l’elemento infiammatorio svolge un ruolo importante.

Il Professor Paolo Rossi, direttore del dipartimento Pediatrico universitario-ospedaliero dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, spiega che “l’obesità è una comorbidità che determina due situazioni. La prima è che un forte eccesso ponderale è collegato alla capacità di sviluppare una risposta immunitaria adattiva, cioè anticorpi e cellule T specifiche contro antigeni esterni, come possono essere i virus. La seconda condizione è che l’obesità rappresenta una situazione di pre-infiammazione perché tra gli obesi gli ormoni immunologici, che si chiamano citochine infiammatorie, sono presenti in quantità molto più alta rispetto ai soggetti non obesi”. Evidenzia inoltre che “la gravità del sintomo è legata alla capacità o meno di sviluppare una risposta immunologica neutralizzante e ai meccanismi dell’infiammazione. Il ruolo dell’obesità è stato recentemente al centro di un bel lavoro di Science, ma sono molti gli studi che hanno dimostrato come l’eccesso di peso sia un fattore di potenziale suscettibilità rispetto alla possibilità di avere un’infezione con un andamento più grave”.

Come sottolineato in precedenza, la coagulazione del sangue può risultare una causa determinante ai fini dell’esito della malattia. Il Professor Paolo Rossi dichiara che “l’infiammazione è strettamente legata alla coagulazione. Forse uno dei maggiori progressi che abbiamo fatto nella cura di questa malattia in questi mesi è stato capire che in realtà quello che succedeva era un’attivazione del sistema della coagulazione, abbiamo compreso l’effetto protrombotico del virus e i risvolti infiammatori. Aver compreso questi meccanismi ci sta permettendo oggi di salvare tante persone, anche di età avanzata, e si tratta di qualcosa che purtroppo non era stato capito immediatamente”.